“Un pellegrinaggio è l’atto volontario col quale un uomo abbandona i luoghi conosciuti, le proprie abitudini e il proprio ambiente affettivo per recarsi in religiosità di spirito fino al santuario che si è liberamente scelto o che gli è stato imposto dalla sua penitenza. Dal contatto col corpo del santo egli attende che sia esaudito un suo desiderio e di ottenere un approfondimento della propria vita personale.” (R.Oursel)

Sin dal Medioevo il pellegrino era mosso dalla speranza di recuperare una salute alterata per sé o per una persona cara o per spirito di penitenza.
Egli era vestito di un lungo mantello a forma, appunto, di pellegrina che lo copriva dalla testa ai piedi con un cappuccio o un cappello rotondo a proteggergli la testa sul quale, ancora oggi, vengono spesso attaccati simboli identificatori. Porta infine un bordone, un bastone da marcia, una bisaccia e un rosario. Egli viaggiava senza mezzi affidandosi alla carità e all’ospitalità altrui.
Lungo le strade e i sentieri sorsero gli “ospizi”, vocabolo poi trasformato in “ospedali”, come luogo di accoglienza e di ospitalità sia per i pellegrini che per i monaci e cavalieri che percorrevano questi tragitti. Infatti, ogni monastero aveva annesso degli ospitales (xenodochi) per il ricovero dei poveri, dei malati e dei pellegrini. Secondo le regole monastiche che limitavano l’ospitalità ai tre giorni, gli ospiti pellegrini vi dovevano essere accolti con preghiere e benedizioni, e qui essi vi potevano riposare solo per due giorni, dopo di che erano tenuti alla collaborazione in qualche attività o andarsene.

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La Romea o Via Francigena in Valle Versa

Il vocabolo peregrinus, derivante da per, “attraverso”, e ager, “campo”, letteralmente colui che attraversa i campi, indicava una persona sconosciuta, ossia uno straniero, un viandante.
L’asse portante dei flussi di pellegrini era rappresentato dalla strada Romea, via Francigena anch’essa, cioè strada che veniva dalla Francia o che vi andava sulla quale camminavano i pellegrini franchi.
I viaggi erano pieni di imprevisti e pericoli. Si viaggiava in stato di precarietà a piedi, lungo sentieri in terra battuta, in assenza di ponti si attraversavano a guado fiumi e torrenti, con frequenti deviazioni per evitare luoghi infestati dai briganti. Lungo la strada i pellegrini incrociavano altri viandanti come loro, ma pure vagabondi e briganti.
Molti sono stati i santi pellegrini, anonimi viandanti divenuti eremiti o morti lungo il cammino, a cui sono state dedicate cappelle sorte sulle loro sepolture, poste, come San Colombano, San Contardo...
La strada del “Barocius” (vocabolo latino che identifica il carro agricolo a due ruote trainato dai cavalli) di Monteveneroso, ossia la via di costa (oggi strada Roncotti) è una strada mulattiera, che veniva percorsa oltre che da carrettieri anche da romei o pellegrini diretti a lontane destinazioni, ossia il tragitto era uno delle diverse vie in alternativa alla strada Romea o Francigena pedecollinare, come è chiamata da alcuni studiosi in dialetto “La Rumera”, oggi nota come via Emilia.

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Oltre alla Romea, esistevano in Oltrepò anche percorsi che da Pavia conducevano all’Appennino in direzione di Genova, porto di imbarco per la Terrasanta. Queste erano le strade che attraverso le valli del Coppa, dello Scuropasso (percorso noto ai bronesi come “strà mulattera”), del Versa, del Bardonezza e del Tidone conducevano all’Appennino e a Bobbio e da qui, oltre che a Genova, la cosiddetta Via degli Abati, che da Bobbio si snodava sull’appennino e attaversava la Toscana. Il nome Via degli Abati, deriva proprio dal suo utilizzo da parte soprattutto degli abati del monastero di Bobbio, diretti a Roma e anche dagli altri monaci provenienti dalla svizzera e dalla Germania che privilegiavano il transito da Bobbio per pregare sulla tomba del Santo prima di proseguire verso Genova o la Toscana.
Questi pellegrini trovavano nell’abbazia di Bobbio, oltre alla tomba del Santo e all’ospitalità, una bevanda a loro particolarmente gradita. Al pellegrino non gli erano mai negati pane e acqua o pane e vino di rimando evangelico. Pare che il monastero di San Colombano fosse celebre anche per la produzione della birra “la gervogia”, tanto che il santo irlandese è protettore dei vignaioli e dei birrai, e abbia introdotto lui stesso il sistema di preparazione della birra nei monasteri da lui fondati.
In questo contesto ebbe rilevanza la Valle Versa, intesa come intera vallata a partire dal punto in cui nasce il torrente Versa sotto Canevino sino alla sua confluenza nel Po a Portalbera. Era questa una dei possibili percorsi romei, insieme alle altre valli oltrepadane e del Tidone, percorse dai pellegrini diretti a Bobbio.

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Il pellegrino, una volta traghettato il Po, dietro pagamento di un pedaggio che sarebbe andato al vescovo di Pavia, perveniva sulla sponda di San Cipriano o Portalbera, ove il fiume riceve le acque del fiume Versa. Qui egli poteva trovare ospitalità presso l’ospedale di S.Maria di Portalbera, fondato nel 1114, che sarebbe stato il primo ospedale stradale del territorio pavese.
Oltre il predetto ospedale, sulla via Romea, entrando in Valle Versa, questa volta sulla riva destra del torrente Versa, si incontrava la chiesa campestre di S.Zeno, eretta dai monaci benedettini pavesi e, ai piedi delle colline fra Stradella e Montù Beccaria, quella di S.Andrea. Ciò dimostra che anche le chiese rurali sparse sul territorio, potevano fungere, in caso di necessità, da ricovero provvisorio. Proprio a motivo di poter alloggiare i pellegrini di passaggio, un tempo diverse chiese disponevano di un portico sotto cui potersi riparare. Inoltre non avevano portali in legno ma tutt’al più una tenda a riparo del loro ingresso, ed erano aperte giorno e notte.
Sul versante sinistro del Versa nei pressi di Stradella, in posizione collinare, si trovava la nota basilica di S.Marcello in Montalino. Essa era collegata al torrente Versa mediante una strada derivata dalla Romea che probabilmente toccava la cappella di S.Giacomo, dedicata al santo protettore dei pellegrini e posta nei pressi dell’attuale scuola media.
Dalla valle versa era poi possibile giungere in valle del Tidone per cammini intervallivi, lungo i quali transitavano i pellegrini di S.Giacomo. Si ipotizza che si saliva da Soriasco, Pizzofreddo e poi per la strada della Costa, oppure da Golferenzo o Volpara per Vicobarone, Ziano Piacentino e ricongiungersi alla via Francigena in Val Tidone. Questa si sovrapponeva ad un antico percorso romano noto come via dei Pellegrini. Su questa strada, nei pressi di Torrone, un podere agricolo porta il nome de la “Cumpustela” che si collega in modo esplicito al percorso di S.Giacomo a Santiago de Compostela.
Per collegarsi al Tidone e quindi alla val Trebbia si poteva, inotre, risalire verso l’alta val Versa passando da Montecalvo Versiggia, Caseo fino a Canevino, quindi Ruino e il santuario di Montelungo dove si incontrava un’altra strada percorsa dai pellegrini, quella della val Coppa che andava in vallescuropasso, per poi proseguire da Camminata a Nibbiano verso la val Trebbia.
Nel Seicento le strade della vallata erano diventate insicure per la presenza dei banditi, comunemente detti “i balòss”, per questo erano presenti una fitta trama di altre carrarecce, mulattiere e sentieri collinari trasversali alla valle che venivano percorse in alternativa alla Romea sia da pellegrini che da contadini.

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Una di queste è quella detta la piacentina, che metteva in comunicazione le colline sopra Castel San Giovanni che da Creta e Vicobarone collegavano la valle Versa attraverso il crinale montuese di Bergamasco e da Loglio, casa Colombi nei pressi della quale c’era il castello di Figaria e Castana si collegavano alle valli del rio Pulice e dello Scuropasso, che risalendo da Cigognola e Pietra de’ Giorgi si ricollegavano alla via Romea (attraverso la chiesa di Castagnara, le località di Case Pelosini e Pozzo, equidistanti dai castelli di Pietra e Cigognola.
Al castello di Castana, in epoche medievali, si teneva il mercato, luogo di attrazione commerciale e da cui passavano anche i pellegrini provenienti dalle chiese campestri della media valle Versa, da Montarco, Cella dove esisteva una chiesa dedicata a S.Colombano, Francia per recarsi attraverso la strada detta della Colomba in direzione Broni.
Un’altra derivazione della piacentina era la strada che dalle colline piacentine arrivava in Valle Versa e poi risaliva da Ca’ d’agosto in direzione Cassinassa e Casa Colombi, arrivava a Castana, con la sua chiesa un tempo dedicata a S.Maria e poi a S.Andrea apostolo, con Montarco con il castello e chiesa dei Santi Nazario e Celsio, e Cella sede probabile dell’oratorio di S.Colombano con annessa chiesa campestre dedicata al Santo, proseguendo si poteva poi salire dalla strada di costa delle Filippine in direzione di Francia con la chiesa di S.Martino, Montecalvo e Canevino e quindi l’alta valle Versa.
Queste strade alternative venivano usate in dipendenza di eventi naturali o politici che causavano problemi di insicurezza al transito lungo la strada principale Romea.

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Dalla frazione Tassarole di Montù incominciava la strada della Guardia, probabilmente prendeva il nome dalla Torre della Guardia lì localizzata, distrutta dai piacentini nel 1216 scendeva lungo il versante fino al Versa e da Beria risaliva verso Torre Sacchetti e proseguiva per Montebruciato fino a Stradella lungo i sentieri della valle Solinga, della Fontana in direzione Stradella. Da Canneto, attravero la costa di Fornace, si giungeva a Colombarone e quindi allo Scuropasso e a Broni.
C’era poi la via pubblica consistente nelle mulattiere che scendevano dalle colline fino in valle tra Loglio di Sotto e Begoglio e passava più a monte della provinciale attuale per Bolzo e i due Ruinello per terminare più in alto a Cà Cristina. Tra cà del Frate e le vicine località Ruinello, era localizzato l’Hospitale de Betlem, sul lato sinistro del Versa.
In val Versa era possibile la presenza di uno Xenodochio o ospitales di San Benedetto che vaceva parte del monastero di S.Colombano di Bobbio ed un altro xenodochio nei pressi di Begoglio.


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